14.4.10

Eleonice Mastria: Finché avrai la forza di raccontare (Roads and Desires)

As-tu le pouvoir de prolonger la vie?
Finché avrai la forza di raccontare nessuno può cancellarti.
Di questo viaggio vorrei raccontare della generosità infinita di chi ci ha raccontato le proprie storie, i propri luoghi perduti, i propri sogni e la voglia di continuare a resistere a questa guerra, che seppur in alcuni casi silente, è sempre presente, continua, logorante fino alle ossa. E il loro raccontare, almeno quello, non può essere cancellato.
Un tessuto di storie, di voci, di corpi maschili e femminili che si incontrano forse per la prima volta, forse per pochi attimi, nello stesso luogo, per ascoltarsi, guardarsi, forse interrogarsi.
Un universo assoluto, assolutamente maschile che si incontra con un mondo, con un corpo femminile, più nascosto e segreto per parlare con altre parole, con altri modi, meno diretti probabilmente, della ferita che li accomuna, della propria terra ferita, della propria vita ferita.
E come non pensare anche a Lysistrata in questo contesto, come non parlare della centralità del femminile e del bisogno che si avverte in questi luoghi di affermare l’importanza di un universo, invece, sottaciuto, nascosto, quasi indicibile e intoccabile.
L’intimità che si lacera nello spazio del dono di una parola, nello spazio dell’ascolto.
Una piccola moneta in dono per noi, un pezzo di vita, di cuore. E questo lo spazio della condivisione?penso di si.
Ora che siamo tornati qui in Italia, ancora sulla pelle la tracce di cui parla Ivano, ancora i volti, le labbra che chiedono a noi di tornare, il calore, gli abbracci e le mani che si ritirano al saluto per tener fede alla loro fede.
Ancora negli occhi Sebastia, Nafsjibil, Aasyra, Ramallah, Gerusalemme. Luoghi diversissimi tra loro, seppur accomunati dallo stesso dolore, dallo stesso sangue versato, dallo stesso vivere quotidiano accanto al nemico, accanto al proprio carnefice. Vittime di un’invasione ingiusta, ingiustificata, perenne, che si espande. E ancora insediamenti a macchia d’olio che bloccano i passaggi da un villaggio all’altro, che costringono la gente a percorrere strade tortuose e lunghissime per raggiungere villaggi che sarebbero, invece, vicinissimi. Strade, villaggi, case violate. E l’oscenità di quel muro, di quella barriera che spezza in due le esistenze e a volte anche le resistenze lasciando spazio alla rassegnazione di molti, alla rabbia di altri, alla scomparsa di altri ancora.
Uomini armati ovunque, donne armate diffusamente, che scrutano, controllano uomini e donne per loro colpevoli a priori per il semplice fatto di esistere e di appartenere ad una certa comunità, ad una certa fede. Mi sembra un rigurgito della storia.
Torniamo, siamo tornati, è vero, ma consapevoli che il nostro fare teatro continua ad essere il nostro piccolo atto di resistenza.Siamo tornati, ma vogliamo ritornare in quella terra dal profumo di arance e di fieno.
Neobar